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Emergenza Covid-19 e responsabilità sanitaria: possibili scenari

Quali sono i possibili profili di responsabilità in capo alle strutture sanitarie e agli operatori sanitari relativamente alla gestione e alla cura dei pazienti affetti da covid-19?

Preliminarmente è opportuno chiarire che, durante la prima fase dell’emergenza, il virus era ancora pressoché ignoto alla comunità scientifica e conseguentemente non esistevano protocolli di cura per l’assistenza dei malati affetti da covid-19.

A ciò si aggiunga il forte impatto del virus, che ha quasi comportato la saturazione dei reparti di terapia intensiva.


In questa prima fase gli operatori sanitari sono stati anch’essi vittime dell’epidemia, esponendosi al virus senza le necessarie protezioni.

Tuttavia, col passare delle settimane, gli operatori sanitari hanno iniziato ad elaborare le linee guida e i protocolli per contrastare la diffusione del covid-19 e per curare i pazienti già affetti.


Parallelamente, i familiari dei pazienti deceduti a causa del covid-19 hanno avanzato i primi dubbi in merito alla gestione organizzativa ed assistenziale posta in essere dalle strutture sanitarie.

Si pensi soprattutto alla scelta di ricoverare i pazienti affetti da covid-19 nelle RSA, strutture sociosanitarie destinate alla collocazione residenziale dell'anziano e del soggetto disabile non assistibili adeguatamente a domicilio.

Tale scelta è stata fortemente criticata proprio perché ha esposto i soggetti deboli ricoverati nelle RSA al contagio da covid-19.


In questo contesto, si è prospettata inizialmente la possibilità di offrire a tutti gli operatori sanitari uno scudo legale, previsto in tal caso dal decreto legge “Cura Italia”, per esonerarli da qualsiasi responsabilità sia civile che penale (http://www.anaao.it/content.php?cont=28837 - https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/coronavirus-medici-denunciano-aziende-sanitarie-politica-vuole-scudo-penale/60471a8a-87c7-11ea-8a3a-5c7a635a608c-va.shtml).

Tale progetto è stato tuttavia abbandonato perché la normativa dello scudo legale si sarebbe posta in potenziale contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 2 della Costituzione e perché si è ritenuto che esistesse già un assetto normativo applicabile alla situazione di crisi pandemica.

Allo stato, da un punto di vista civilistico, restano quindi applicabili anche alla situazione emergenziale da covid-19, le norme del codice civile (nello specifico gli artt. 1218, 1228 e 2236 c.c.) e la Legge n. 24/2017 “Bianco-Gelli, che disciplina la responsabilità civile delle strutture sanitarie e degli operatori sanitari.

All’interno dell’ampia fattispecie della responsabilità sanitaria nel contesto emergenziale di cui trattasi risulta utile effettuare una distinzione tra la responsabilità civile conseguente alla condotta dell’operatore sanitario e quella conseguente a carenze organizzative da parte delle strutture sanitarie.

1) Responsabilità civile della struttura sanitaria e/o degli operatori sanitari per condotta sanitaria colposa.

In questa prima categoria potrebbero ricadere astrattamente tutte le condotte commesse con imprudenza, negligenza o imperizia, secondo la tradizionale definizione di colpa.


Tuttavia, almeno nella fase iniziale della pandemia, sembra difficile ipotizzare che le condotte degli operatori sanitari possano essere ritenute colpose.

Come evidenziato poc’anzi, occorre infatti considerare che, nella prima fase della pandemia, il virus non era noto alla comunità scientifica e, inoltre, non sussistevano protocolli e linee guida per il contrasto e la cura del covid-19.

In tale contesto, si prospetta quindi l’assenza di leges artis di riferimento per poter valutare la condotta dell’operatore sanitario.


Oltre a ciò, si dovrebbe valutare che gli operatori sanitari hanno agito in condizioni eccezionali di emergenza, con carenze strutturali e di dispositivi dovute all’impatto massivo del virus. Tali condizioni potrebbero rientrare nel concetto di “problemi tecnici di speciale difficoltà” di cui all’art. 2236 c.c. con l’effetto di limitare la responsabilità dell’operatore sanitario alle ipotesi di dolo e colpa grave.

In questo senso, la responsabilità colposa degli operatori sanitari ex art. 1218 c.c., e conseguentemente delle strutture ai sensi dell’art. 1228 c.c., potrebbe essere esclusa o comunque limitata ai soli casi di dolo e colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c..

2) Responsabilità civile ex art. 1218 c.c. delle strutture sanitarie per carenza organizzativa.

In capo alle strutture sanitarie potrebbe poi profilarsi una responsabilità connessa all’aspetto gestionale della pandemia e quindi, ad esempio, alla mancanza di posti in terapia intensiva e di ventilatori, alla mancanza di dispositivi medici e al sovraffollamento delle corsie ospedaliere con conseguente contagio e morte degli operatori sanitari.


In questa categoria, potrebbe rientrare però anche la scelta di collocare i malati affetti da covid-19 nelle RSA, che abbiamo menzionato poc’anzi.


In questo caso, considerato il carattere contrattuale della responsabilità con conseguente applicazione dell’art. 1218 c.c., spetterebbe alla struttura dimostrare che l’inadempimento è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile alla struttura stessa.

La difesa delle strutture sanitarie potrebbe essere inoltre particolarmente delicata se si considera che, in tema di infezioni nosocomiali, la giurisprudenza tende a presumere la sussistenza del nesso causale.


E’ vero che anche rispetto alle strutture sanitarie si dovranno tenere in considerazione le circostanze concrete della pandemia e ci si dovrà chiedere se tali strutture potessero davvero prevedere il drastico impatto causato dal covid-19.


Tuttavia, con riferimento specifico ai casi delle RSA, sembra difficile escludere una colpa gestionale per non aver considerato i rischi da contagio dei soggetti deboli normalmente ospiti di queste strutture.

Del resto, occorre rammentare che l’art. 1 della Legge n. 24/2017 “Bianco-Gelli”, prevede la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute e impone che sia realizzata “mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative”.

Considerazioni conclusive

Il quadro che abbia tracciato evidenzia una forte incertezza in merito a quali siano effettivamente i rischi per le strutture sanitarie e per gli operatori sanitari connessi alla cura e alla gestione dei malati da covid-19.


Tale incertezza è determinata dall’assenza di una normativa specifica riferita alla fattispecie emergenziale di cui trattasi, nonché dall’ovvia assenza di qualsiasi precedente giurisprudenziale sul punto.


Tuttavia, l’impressione che se ne può trarre è che per quanto riguarda la prima fase della pandemia (periodo da febbraio 2020 a maggio 2020), possa essere adottato un metro di giudizio meno severo proprio in considerazione della portata della pandemia, dell’assenza di linee guida e protocolli di riferimento. In tale ottica, soltanto le condotte più gravi potrebbero essere quindi considerate fonte di responsabilità per le strutture sanitarie e per gli operatori.


Discorso diverso potrebbe invece essere fatto per la seconda fase (periodo da ottobre 2020), in cui le strutture sanitarie e gli operatori avranno a disposizione maggiori conoscenze in merito al contrasto e alla diffusione del virus, nonostante l’assenza ad oggi di una cura ufficiale per il virus.




avv. Ilaria Oberto Tarena

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