Cassazione civile, sez. III, 16.03.2021, n. 7385
Con la sentenza in commento, la Cassazione affronta in modo del tutto innovativo la questione del risarcimento conseguente alla omessa diagnosi di malformazioni fetali.
In precedenza, tale questione era sempre stata automaticamente connessa al concetto di “nascita indesiderata”, quasi a voler presumere che, in presenza di malformazioni fetali, la gestante avrebbe optato per l'interruzione della gravidanza in presenza dei presupposti di cui agli artt. 4 e 6 della Legge n. 194/1978.
Il fulcro dei procedimenti civili era sempre stato l'accertamento della volontà di abortire o meno da parte della gestante qualora fosse stata correttamente informata della presenza delle malformazioni fetali.
Con la sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015 erano intervenute le Sezioni Unite proprio sull'onere probatorio in capo alla gestante, affermando, per l'appunto, che, per ottenere il risarcimento del danno, la gestante avrebbe dovuto provare, anche in via presuntiva, che avrebbe interrotto la gravidanza laddove fosse stata adeguatamente informata dai sanitari delle malformazioni del feto (nello stesso senso, Cassazione civile sez. III, 30/05/2014, n. 12264, Cassazione civile sez. III, 22/03/2013, n. 7269; in senso contrario, si veda, ex multis, Cassazione civile sez. III, 02/10/2012, n. 16754 che aveva invece aveva affermato che la prova della volontà abortiva potesse essere presunta in base a un criterio di normale regolarità causale).
Con la sentenza in commento, la Cassazione abbandona la prospettiva della "nascita indesiderata", riconoscendo la plurifunzione della diagnosi prenatale, in quanto finalizzata non solo all'interruzione di gravidanza, ma essendo il presupposto di "una serie di altre scelte di natura esistenziale, familiare, e non solo terapeutica”.
La Cassazione ha quindi voluto tutelare non più soltanto il mancato esercizio dell'interruzione di gravidanza, ma anche il diritto dei genitori alla autodeterminazione procreativa, ovvero la possibilità di scegliere di non abortire e di prepararsi, psicologicamente e materialmente, alla nascita di un bambino affetto da gravi patologie.
Secondo la sentenza n. 7385 del 16.03.2021, il risarcimento del danno non è quindi più ancorato soltanto alla prova della volontà abortiva, ma può essere riconosciuto anche quando i genitori avrebbero scelto di proseguire la gravidanza e ciò al fine di tutelare il pregiudizio subito dai genitori consistente nell'impossibilità di prepararsi ad affrontare il trauma della nascita di un figlio affetto da grave disabilità.
Per comprendere il cambio di prospettiva della Cassazione, si deve tenere presente che, in tema di diritto al consenso informato, recentemente la Cassazione ha manifestato in più occasioni la necessità di tutelare la cosiddetta "autodeterminazione terapeutica", consistente anche nella possibilità di meditare sulle conseguenze e sulle possibili scelte e alternative terapeutiche (ex multis, Cassazione civile sez. III, 03/11/2020, n. 24462).
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Cassazione civile, sez. III, 16.03.2021, n. 7385
MASSIME
In tema di responsabilità medica, l'omessa diagnosi delle malformazioni del feto determina la lesione del diritto all'autodeterminazione procreativa della gestante consistente non solo nella opportunità di valutare se interrompere o meno la gravidanza, ma altresì nella possibilità di prepararsi, psicologicamente e materialmente, alla nascita di un bambino affetto da gravi patologie e pertanto necessitante di particolare accudimento.
Incorre in responsabilità civile l'azienda ospedaliera o il medico che, avendo colposamente omesso la diagnosi delle malformazioni del feto, abbiano leso il diritto all'autodeterminazione procreativa della gestante, anche nell'ipotesi in cui dovesse essere successivamente accertato che quest'ultima, ove correttamente informata, non avrebbe comunque interrotto la gravidanza.
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